Ci sono più italiani di quel che dicono

mio articolo da CALCIOARGENTINO del 3 settembre 2009

Cosa c’è di unico e per questo ancor più coinvolgente nell’identità italiana del Boca Juniors?

C’è la ricerca di un valore aggiunto nell’appropriazione arbitraria dell’esclusività di queste origini, certamente lusinghiere e apprezzate da quelle parti, rispetto agli eterni rivali del River Plate e di molti altri Club argentini?

Il calcio anche in Sud America è stato portato dagl’inglesi: titolari, impiegati e operai delle imprese di costruzione cui si devono le ferrovie di quel Continente, così come commercianti e rispettivi discendenti, che in occasione degli ultimi flussi migratori del XIX secolo verso quei lidi s’insediarono, contemporaneamente ad altri gruppi fra cui primeggiavano proprio gli italiani, nel delta del Rio de la Plata (a Buenos Aires come a Montevideo) ma anche nell’entroterra.

Così, fra l’ultimo decennio dell’800 e i primi anni del 900 nacquero il Rosario Central e il Peñarol, che addirittura inizialmente mantenevano il nome delle Società (ferroviarie) di appartenenza, inglesi entrambe benché fra gli uruguagi ci fossero anche dei piemontesi originari di Pinerolo, da cui il successivo nome; fu fondato il Newell’s Old Boys, dedicato a un rettore inglese, mentre poco prima era stata la volta del River Plate di Buenos Aires, poco dopo sarebbe stata quella del Boca Juniors, cinque anni più tardi del Velez Sarsfield (che fondata fra gli altri da tale Guglielmone incorporò nel giro di poco il tricolore per l’incidenza italiana fra i propri sostenitori) e, sempre per nominare i più evidenti, negli anni Cinquanta del Club Sportivo Italiano.

Non sono questi gli unici esempi, ma sono i più eclatanti. L’importante, infatti, è rendere l’idea prima di addentrarsi nell’analisi che riguarda la propaganda abilmente effettuata dal Boca Juniors nel corso degli anni, che ha trovato terreno fertile nell’approssimazione emotiva dei tifosi di oggi che, come tutti del resto, non hanno evidentemente più alcun legame reale con le origini dei vari Club e si affidano a quanto gli viene raccontato.

Nel 1901 nacque il River Plate. L’iniziativa fu tra gli altri dei signori Antelo, Salvarezza, Balza e Messina, ma anche di alcuni componenti della famiglia Ratto, non solo italiani ma addirittura genovesi, xeneizes se preferite.

Quattro anni più tardi vide la luce il Boca Juniors, che a tutt’oggi mantiene un legame anche territoriale con la fondazione, avvenuta in plaza Solìs, piena Boca, due isolati da calle Necochea e il puente transbordador nel porto sul Riachuelo che Benito Quinquela Martin avrebbe ritratto con tanto sentimento, facendone un giusto simbolo. Tra i fondatori, certo, gl’italiani Baglietto, Scarlatti, Sana e Farenga (due fratelli). E poi la permanenza nel quartiere più italiano della Capitale.

Tutto questo mentre il River Plate si trasferiva alla Recoleta, in un’epoca di frequenti traslochi e cambiamenti di campo di gioco in cerca del luogo più appropriato mentre Buenos Aires stava cambiando volto attraverso la bonifica e l’incorporazione di sempre più appezzamenti agricoli, soprattutto a nord.

Il legame fra il Boca Juniors e l’Italia è indubitabile sia per le origini che per la permanenza nel barrio, e si dovrebbe riconoscere al Club la volontà di sottolinearlo, di rivendicarlo. Tuttavia questo atteggiamento scade nel proditorio allorché se ne fa un motivo di orgoglio esclusivo. E a dimostrarlo è la semplice storia, che andrebbe però ricordata. Non certo per screditare gli xeneizes quanto per dare a Cesare quel che è di Cesare.

I tempi delle migrazioni sane e positive è finito da un pezzo e oggi il degrado della Republica de la Boca, di cui gli argentini ritengono ragionevolmente responsabili le comunità sudamericane che hanno soppiantato gl’industriosi italiani, sta lasciando il passo a una modernizzazione senza carattere con orde di turisti che si riversano in Caminito per un ‘mordi e fuggi’. Contemporaneamente, la base del tifo boquense ha seguito la tendenza del quartiere e il carattere italiano del Club è praticamente scomparso.

Se i processi storici spesso rimescolano le carte al di là della volontà dei protagonisti, è invece criticabile l’utilizzo che della storia si fa. Ecco allora che nella sostanziale omogeneità e trasversalità del tifo boquense e riverplatense, oramai presenti in ogni ambiente, ricco e povero, di argentini e d’immigrati, al di là degli sfottò e degli stereotipi, è importante ricordare che nella propaganda non si troverà mai la verità. E soprattutto che l’italianità, motivo di orgoglio e fascino, fattore di attrazione, la si dovrebbe ricercare anche là dove in tanti fingono di non sapere che c’è.

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