mio articolo dall’edizione cartacea di SAN SIRO CALCIO del 24 giugno 2010
Dalla prima fase dei Mondiali del Sud Africa emergono inconfutabili indicazioni. Una delle realtà più evidenti, accanto al trionfo della muscolarità e all’impoverimento del gioco da addebitarsi anche alla combinazione letale di pallone leggero e altitudine, è il decadimento delle Nazionali europee.
I giochi non sono fatti e nulla ci vieta di pensare che almeno fra le cosiddette grandi oltre all’Italia possa improvvisamente risollevarsi l’Inghilterra e, fuori la Francia, riprendano definitivamente il passo Germania, Spagna e Portogallo. Fatto sta che solo l’Olanda è partita col piede giusto e se constatare l’affanno delle altre Nazionali è facile, trovare un minimo denominatore comune a tante crisi contemporanee può non esserlo.
Cause principali sono l’assenza di giovani talenti e più in generale di qualità. Sì, perché alla deriva europea cui abbiamo assistito finora si contrappone l’esaltazione del Centro-Sud America, e non per merito dei soliti nomi. Messico, Uruguay, Cile e Paraguay non hanno quasi sbagliato un colpo e sul piano del gioco hanno comunque sempre convinto, questo mentre il Brasile forse non accende le fantasie di nessuno ma comunque macina risultati e l’Argentina ha trovato compattezza nel momento ideale. Non tutte queste squadre giocano allo stesso modo, oltretutto. Alcune di esse, addirittura, ci stanno facendo apprezzare il gioco di rimessa di stampo italiano riuscendo a farne un modulo scoppiettante grazie a brillanti e decisi interpreti del contropiede pronti a ripartire tutti insieme una volta che difensori arcigni hanno fatto la propria parte.
Tattica a parte, mi pare lampante che alla prima occasione in cui i calciatori hanno potuto rappresentare il Paese di origine (e la sua scuola) invece che il Club europeo di turno che li ha acquistati, gli stereotipi degli ultimi decenni per cui l’Europa rappresenterebbe il Nord del mondo in tutte le sue accezioni sono inesorabilmente crollati.
Adesso che la televisione satellitare fa credere agli appassionati che il mondo sia più piccolo, potendosi seguire sugli schermi le orme di osservatori e procuratori che invece già da anni hanno una visione globale del calcio, dobbiamo anche prendere atto del fatto che l’invasione dell’Europa da parte dei talenti sudamericani è una colonizzazione al contrario. Certamente i Club di qui (anche quelli meno ricchi, che possono comunque aggiudicarsi talenti contando sulle loro seconde e terze vendite, con cui ripagare le Società di origine) traggono grande beneficio dall’acquisto delle giovani stelle sudamericane, ma quando non sono più i soldi a dettare le regole e si parla quindi di Nazionali ecco che i nodi vengono al pettine.
Dal Sud America vengono spesso comprati giocatori che a vent’anni hanno già esperienza internazionale, essendo titolari in squadre che oltre al campionato nazionale partecipano a Copa Libertadores o Sudamericana. Questi ragazzi vengono portati di qua dall’Atlantico, maturano anche dal punto di vista tattico (tecnicamente sono spesso già molto bravi), arrivano a formare l’ossatura di tantissime formazioni europee ed ecco che nel giro di pochi anni sono pronti a far grandi anche Cile e Paraguay. E’ indubbio che fra giovani e meno giovani l’Inter che ha vinto tutto sia sudamericana e poco meno lo sia l’Atletico Madrid fresco vincitore dell’Europa League, che il Real Madrid di domani potrebbe esserlo ancor di più, che le stelle del redivivo Benfica siano argentine e brasiliane, che la stessa Roma debba al Sud America l’asse della difesa (Juan, Burdisso e uno fra Julio Sergio e Doni) e che il Milan annoveri fra i suoi passato recente, presente e futuro prossimo della Nazionale verdeoro (Ronaldinho, Pato, Thiago Silva e forse Luis Fabiano). Fra le grandissime non fanno eccezione nemmeno il Liverpool e il pur inglesissimo Manchester United (quest’ultimo soprattutto in chiave futura coi fratelli Da Silva, il messicano Hernandez e Valencia). Discorso a parte merita il Barcellona, ma qui si dovrebbe passare a parlare dei vivai (Puyol, Piqué, Xavi, Iniesta, Krkic e Pedro, per esempio, vengono dalla Masia) e non per altro questa Spagna molto azulgrana è l’unica vera grande rimasta in Europa, almeno dal punto di vista tecnico e del gioco. Venendo all’Italia, per concludere, non sarà certo una manciata di nobili eccezioni a farci dire che dei giovani, qui, si tiene conto.
Insomma, si cercassero anche ventenni al posto di campioni già affermati è molto più semplice pescare in Sud America (si pensi al Catania, che pure ricca non è), ma quando si spengono le luci su campionato e soprattutto Champions League ecco che i nodi vengono al pettine. E se anche alla fine questi Mondiali li vincesse l’Italia o l’Inghilterra, il concetto non cambierebbe e, con un occhio sempre al gioco volendosi allontanare per una volta dalla visione utilitaristica dipendente dai risultati, sarebbe evidente la logica ma a questo punto anche giusta superiorità del cosiddetto Sud del mondo.