Campanilismo e amor patrio

mio articolo da COMUNITA’ ITALIANA di giugno

Riecco i Mondiali.

I quattro anni fra Germania 2006 e Sud Africa 2010 sono stati i più drammatici dalla storia del calcio nostrano. Ma lo sono stati anche rispetto al panorama internazionale, equiparabili per la devastazione che vi si è compiuta solo a quelli del bando dall’Europa dei Club inglesi dopo la Finale dell’Heysel fra Juventus e Liverpool.

Da un punto di vista tecnico e per quanto concerne l’equilibrio del movimento calcistico italiano, ci sono stati scombussolamenti, direi terremoti, senza pari e soprattutto causati da un intervento discutibilissimo della Giustizia sportiva, coi nodi che stanno venendo al pettine un’altra volta nell’imminenza della kermesse mondiale. Il calcio italiano è stato messo letteralmente sottosopra, gli effetti di questa tragedia sportiva non si sono esauriti e nel frattempo, contemporaneamente a un abbassamento generalizzato del tenore calcistico con pochissime eccezioni, se non solo una, si è ridisegnata la cartina dell’Italia del pallone e con essa si sono riaccesi fuochi che sembravano sopiti, quelli dipendenti dal campanilismo.

Uso il termine campanilismo in senso lato, riferendomi non tanto all’attaccamento dei tifosi alla squadra della propria città e nemmeno ai giocatori che da essa provengono. Farlo sarebbe una sciocca stonatura oggi che ci sono quasi più giocatori stranieri che italiani e soprattutto sono praticamente scomparse le bandiere, con le ultime rimaste che stanno vivendo la fase calante della propria carriera. Si tratta più che altro dell’affermazione di una nuova e isterica identità di chi vive in Italia, slegata da quella del Paese e che si sta sostituendo al reale campanilismo, quello radicato in tanta gente in coseguenza di un Paese che esiste giusto da centocinquant’anni o giù di lì senza che nel frattempo siano stati fatti anche gli italiani. E se le differenze sono una potenziale ricchezza è vero però che un reale spirito aggregativo ancora manca.

Quattro anni fa si erano tutti stretti intorno a una Nazionale non dissimile da quelle che l’avevano preceduta né da quella di oggi, coi tifosi di tutto il Paese che erano abituati a incitare calciatori che non giocavano nella loro squadra del cuore, riuscendo a deporre le armi per un mese, arrendendosi a una fantastica quanto insondabile magia per cui Totti stava bene anche a un laziale e Camoranesi a interisti e milanisti. Questa volta invece è netta la sensazione che le cose siano cambiate.

Lippi, lo stesso c.t. ma anche la stessa persona di quattro anni fa, è stato attaccato per due anni interi, da quando ha ripreso il proprio posto dopo la parentesi di Donadoni. Prima delle scelte definitive, che l’hanno sfoltito, il gruppo tradizionalmente numeroso di nazionali provenienti dalla Juventus aveva portato all’affrettata definizione di Italjuve in senso chiaramente dispregiativo. Per finire sempre più frequenti sono le dichiarazioni di simpatia per altre Nazionali che moltissimi italiani stanno facendo, non tanto come effetto della globalizzazione quanto perché la squadra di Club che tifano schiera un po’ di giocatori di una particolare selezione straniera. E se anche questo non corrispondesse al reale andamento generale del tifo nel Paese, certamente è quanto sta presentando la maggior parte della stampa.

In questi quattro anni, squadre che in passato non avevano mai lottato per i traguardi più prestigiosi si sono affacciate al cosiddetto grande calcio e sembra che siano bastati pochi punti in più in classifica a rendere i loro tifosi innanzitutto devoti ai loro colori e solo in seconda battuta, magari, attaccati all’azzurro. Potrei essere smentito, ma solo in ragione di un’improvvisa inversione di tendenza. I presupposti sono infatti quelli di una riduzione sensibile della piattaforma del tifo per la Nazionale in ragione di una soddisfazione per il proprio Club talmente grande ma soprattutto inusitata che in preda a una sbornia campanilistica, appunto, Mondiali ed Europei possono andare in qualunque modo, tanto ormai moltissima gente è già contenta che la sua Inter vinca o che la sua Samp si sia classificata per le Coppe. A questo punto se Pirlo, Cannavaro e Criscito fanno male tutto sommato è una gioia da tifoso in più. Anche se quattro anni fa gli stessi giocatori andavano o sarebbero andati ancora bene.

E dato che alle grandi soddisfazioni degli uni, amplificate in modo innaturale da Calciopoli con il tutti-contro-tutti che ne è derivato, corrisponde l’esasperata frustrazione di altri, a questi ultimi va altrettanto bene che Balotelli rimanga fuori, come i genoani ridono per Cassano che resta a casa.

Forse l’Italia sta davvero cambiando, perché il calcio ne è un indicatore formidabile. C’è però da chiedersi dove stia andando perché alcune soddisfazioni, soprattutto se basate su un’avversione, sono tanto effimere quanto debilitanti. E un segnale di grande impoverimento.

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