mio articolo da CALCIOSTRUZZO del 4 aprile 2010
Chelsea, Manchester United, Real Madrid, Atletico Madrid, Valencia, Barcellona, Inter, Milan, Arsenal e Liverpool. Se non fosse per l’Atletico e il Valencia, verrebbe da pensare che questa è la classifica delle più forti squadre europee del momento. E invece no. O meglio, sì, in gran parte, ma è anche la graduatoria di quelle più indebitate, euro più euro meno da un minimo di quasi 350 milioni al record del Club di proprietà di Abramovich, che sfiora gli 800.
Ricordo quando, nel 1992, andavo in giro per Milano con un tenero badge fatto in casa che recitava ‘stop Premier League’. Da innamorato del calcio inglese che ero e continuo a essere, infatti, e con le ferite del post Heysel ancora aperte, intuivo che qualcosa di avveniristico ma al contempo diabolico stava accadendo nel Paese col calcio più glorioso e insieme martoriato, che forse proprio in quello scisma finanziario (ma di riflesso sportivo) cercava la via d’uscita alla prigionia rappresentata dall’esclusione dall’Europa per cinque anni, otto nel caso del Liverpool.
Era evidente che la spartizione sbilanciata dei diritti televisivi e via via di tutti gli introiti avrebbe portato a un altro sbilanciamento, il più onomatopeico di tutti: quello dei bilanci. Col risultato che tutto sarebbe stato, oltre che agevolato, amplificato. Gli stadi, vere macchine da soldi, ricostruiti per divenire meravigliosi luoghi capaci di influenzare positivamente l’animo dei tifosi offrendo loro un turbinio di merchandising in un’aria sempre più pulita al punto che ora praticamente ovunque non si può nemmeno più fumare sugli spalti. Gli acquisti sul mercato, da sogno, sempre più incredibili. Il tutto, apparentemente, solo in cambio di un calendario spalmato al punto che non c’è quasi più giorno senza partite e di orari che non stanno né in cielo né in terra, e non certo per far divertire la gente più spesso o, nel secondo caso, per questioni di sicurezza perché un Manchester United-Liverpool giocato a mezzogiorno permette di gestire meglio gli ex hooligan, ma semplicemente perché in Asia, da cui provengono i nuovi soldi, in questo modo le partite trovano posto come si deve nei palinsesti locali. Se l’è fatto sfuggire anche Galliani con un sorriso sardonico di chi la sa lunga, altro che noi…
Venendo all’amplificazione dell’effetto stadi rifatti e moderni o dei trasferimenti da sogno, ecco che a un tratto, già anni fa, si è provocata un’ulteriore spaccatura fra i Club di prima fascia, con i maggiori che hanno iniziato a costruire, investire e spendere ancora di più, a un ritmo che non sembrava forsennato solo perché erano parecchi i Club che facevano lo stesso. Come guardare fuori dal finestrino di un treno lanciato e pensare di essere fermi solo perché parallelamente ne corre uno altrettanto veloce. Sì, se non fosse che le Dirigenze di quelle Società erano consapevoli dello stato delle cose, i conti se li facevano, ma chi doveva controllare loro per tutelare l’intero sistema gli strizzava l’occhio, arrivando a concedere deroghe su deroghe sui bilanci e in seconda battuta sui tempi di risanamento degli stessi.
La faccenda, ovviamente, si è allargata a tutta l’Europa, toccando la Spagna, l’Italia e un po’ meno la Germania. Se oggi ci si chiede quali siano i Club più indebitati basta dare un’occhiata a chi vince ed è presto fatto. Si torna, in pratica, alla graduatoria d’apertura. E se si fa un parallelo fra la potenza economica e relativo indebitamento dei Club che ne fanno parte e le considerazioni tecniche sul calcio giocato, si può congedare il tutto con lo stesso commento: non c’è confronto. Non c’è confronto fra quanto sono forti,ricche e indebitate Barcellona e Inter rispetto ad Athletic Bilbao e Sampdoria, così come non c’è confronto fra i campioni che giocano in Champions League (il corrispondente europeo della Premier League inglese, nata anch’essa nel 1992) ed Europa Cup. E cosa dire poi di prima e seconda divisione? Un abisso, c’è.
Non dobbiamo però cadere nell’errore di ritenere dei privilegiati solo i grandissimi Club. Perché si sa, alla fine il calcio come qualsiasi altro ambito economico-finanziario (siamo arrivati a definirlo tale) è strutturato allo stesso modo a ogni livello, differenziandosi solo per qualche zero. E c’è chi gode di favori pur non essendo ai vertici (penso ai decreti spalmadebiti) o si lamenta essendo però pronto a godere di un’eventuale strizzata d’occhio degli Organi di controllo non appena sale un gradino o arrivano investitori stranieri. Questo per dire che è facile dare addosso ai mostri del calcio europeo; bisognerebbe semmai ribaltare tutto, ma tutto.
Tornando alle vicende inglesi, da qualche tempo al collo di decine di migliaia di tifosi del Manchester United ci sono delle sciarpe gialloverdi che ricordano il Newton Heath, da cui nacquero i Red Devils. Questo viene simbolicamente contrapposto all’attuale Club, in mano a un gruppo di americani che fra le altre cose possiede anche i Tampa Bay Buccaneers e ha portato lo United contemporaneamente nell’olimpo e nel più profondo degli inferi finanziari del calcio mondiale. Il dilemma di chi le indossa è enorme: si devono benedire o maledire gli acquisti di Rooney, Berbatov, Carrick e compagnia bella se questa corazzata vincente in un paio d’anni rischia di seguire il Leeds United in terza divisione? Sì, proprio lo stesso Leeds che una decina di anni fa raggiunse in due stagioni consecutive le semifinali di UEFA Cup e Champions League, evidentemente grazie a investimenti faraonici più che per un ritorno all’ispirazione dei gloriosi anni Settanta, e che guarda caso subito dopo si è sfasciato, non perdonato dalla Giustizia, meritandosi anche fior di penalizzazioni.
E qui in Italia? Quante sono le Società in regola? Alcune hanno provato a esserlo utilizzando di tutto, compresi trasferimenti di giocatori dalle valutazioni appositamente pompatissime. Tutto risaputo, uscito sui giornali, mai smentito dalle parti in causa. Senza nemmeno che questo sia servito a risanarli, i bilanci… Una devastazione finanziaria e uno stravolgimento di valori che non ha nemmeno niente a che fare con Calciopoli e quel che ne è seguito, ma che a questo vanno sommate, figuriamoci. Eppure siamo ancora qui, anche noi, come in Inghilterra e Spagna, coi forti sempre più forti a pavoneggiarsi con le loro vittorie, i loro progetti, i campioni cristallini e sempre meno italiani che vestono certe maglie ma che, mi sia concesso, lì non dovrebbero proprio stare. E con l’obiettivo primo di chiunque vuol far bene che è la qualificazione alle Coppe europee, che con la sola eccezione di chi si aggiudica il campionato vuol dire non vincere niente, dico niente. Solo prender soldi. Per poi, la stagione seguente, magari lasciar perdere la Coppa per rincorrerne una nuova qualificazione arrivando fre le prime in campionato. Fra qualificazioni dirette e preliminari le prime dieci o giù di lì, sia chiaro.
Se credete in questo calcio, buon divertimento. E partano pure i caroselli di fine stagione e gli sfottò a chi fa i conti della serva e guarda tutto da dietro, fino al prossimo magnate col pallino del pallone, fino alla prossima sentenza che rovescia tutto senza bisogno di fare un gol.