mio articolo da CALCIOSTRUZZO del 10 giugno 2010
Non sembra esserci molto da scrivere in questi giorni che precedono l’inizio dei Mondiali. Sì, perché ci siamo abituati a commentare soprattutto quel che succede fuori dai campi e visto che pro e contro Lippi se ne sono già dette di tutte per lunghi mesi al punto che ne siamo usciti sfiancati e il calciomercato ci sta offrendo i soliti teatrini di fine stagione in attesa dei botti del dopo Sud Africa, ecco, gli spunti paiono mancare.
Personalmente, però, pur appassionandomi le vicende dei tanti adetti ai lavori che condiscono un gioco semplice come il calcio coi loro proclami, nel senso che mi dà un gusto particolare individuarne le debolezze, preferisco godermi il bel gioco. Così, nell’attesa o meglio nella speranza di poterlo fare a breve, mi sono tornati in mente i campionissimi di un tempo e ho ritrovato brillantezza.
Siamo sinceri. Oggi il calcio è decisamente fisico, al punto che dieci giocatori con due polmoni e due cosce così nonostante i piedi di balsa possono provare a battere una squadra di campioni. Non ci sono nemmeno più le bandiere, e a questo proposito da un lato comprendo la maggior parte dei calciatori, che approfitta della pioggia di quattrini che gli cade addosso in cambio esclusivamente di qualche poco traumatico trasloco, ma dall’altro rimpiango ciò di cui non possiamo più godere a causa di questa privilegiata mobilità: la presenza di veri beniamini. A dominare nella sua granitica presenza è rimasto il contorno: le clausole contrattuali, la moviola televisiva, le conferenze stampa, le risse fra opinionisti.
Seguire una squadra e identificarcisi è bello, ma alle condizioni di cui sopra cosa resta al tifoso? Resta un surrogato di amore da riversare sull’idolo stagionale, che l’anno dopo può andarsene anche alla più grande rivale, e allora in questo caso bisogna rinnegarlo e contemporaneamente ritrattare quanto affermato fino a poco tempo prima. Triste, tristissimo, perché non sono casi isolati, questi, ma praticamente costituiscono la regola. Come se non bastasse, ecco poi gli investimenti selvaggi consentiti solo a pochi privilegiati che godono evidentemente di una tutela riconducibile ad attività tutto meno che calcistiche, in ragione dei quali in Inghilterra sono 15 anni che vincono sempre e solo le stesse ricchissime squadre e nella Liga spagnola la terza classificata della prima stagione del Perez bis (il Valencia di Villa e Silva) è arrivata a ven-ti-cin-que punti dal faraonico Real Madrid. E poi la giustizia, per cui Calciopoli a parte Leiria e Boavista in Portogallo, Portsmouth, Leeds United e Crystal Palace in Inghilterra si saranno chiesti cos’abbiano fatto di più grave rispetto a Porto, Liverpool e un numero imprecisato di altre privilegiate dominatrici del calcio europeo per essere state bastonate. Loro.
In un panorama simile, il tifoso più puro inevitabilmente sbanda, viene umiliato e spesso sbotta, mentre quello più becero ci sguazza. Risultato, i toni accesi facilmente sfociano nell’insulto. E’ un tutti contro tutti in cui il risultato finale, trofeo o sentenza favorevole che sia, è vissuto come la liberazione da un peso quasi insostenibile. E man mano che ci si allontana dagli ambienti societari, in cui a dominare sono quattrini e dinamiche finananziarie, si scende per così dire verso la base, ove in conseguenza di una terribile ma quanto mai realistica convinzione di alcuni Adriano è un negro ubriacone, Zanetti un dopato, Roma la squadra dei ladroni romani, la Juve il simbolo dei padroni, Napoli una squadra di africani, i gol subiti sono sempre irregolari e quelli fatti, anche se frutto di un fuorigioco sfuggito all’arbitro, la giusta pariglia da restituire sempre a qualcuno.
Io invece ricordo che Adriano nel 2004 ha giocato una Copa America da incorniciare, a Zanetti riconosco lo stesso rigore alimentare e atletico che rende immortale Filippo Inzaghi, ho idea che tifare Roma vivendo a Roma possa essere bellissimo, la Juve so che la tifano tanti operai e il Napoli mi sembra che abbia più italiani di altre squadre.
Insomma, costretto o meno che sia, chi vuole ciucciarsi questo calcio lo faccia. Io invece me lo godo nell’unico modo per cui non debba rovinarmi il fegato né ridurmi a litigare con gli altri: guardandolo giocare. E spero di rivedere gli eredi di Valderrama e Hoddle, Ginola, Higuita e Waddle, tanto per non fare i soliti nomi. Viva i passaggi, i colpi di testa, le parate, i tiri e i tackle, fatti da chiunque sia in grado di esaltare questo sport, senza che io finisca per esasperarmi e tirar fuori il peggio di me. E comunque viva pure la Lazio, il Toro e l’Avellino… non vorrei che qualche lettore se la fosse presa per le considerazioni che ho appena fatto su certe squadre…
Coi Mondiali che stanno iniziando sembra facile e anche abbastanza scontato un po’ per tutti fare qualcosa di simile. Ma solo perché in fin dei conti, Lippi o non Lippi, la Coppa del Mondo per i più non vale uno scudetto o una Champions, cioè cose da sbattere in faccia al collega d’ufficio, magari più brillante ma che deve stare muto, perché ha perso… Per quanto mi riguarda, invece, il Sud Africa non fa differenza rispetto al resto. E nonostante le mirabolanti vicende giudiziarie e le piccate conferenze stampa che tanto bene conosciamo continueranno a essere presenti nelle mie giornate esattamente come in quelle dei tifosi più tipici, sinceramente sono sollevato sapendo che anche girando sul canale svizzero potrò sempre imbattermi in qualcosa di bello e appagante: una partita ben giocata, divertente, senza dover dipendere dalle parole (alla fine sempre quelle sono) di chi con quel che dice è arrivato ad avere il potere di fare sentire meglio o peggio un tifoso.