Dimenticare Moggi

mio articolo da CALCIOSTRUZZO del 14 aprile 2010

Eccoci dunque. A Napoli è ripreso il processo e i nodi iniziano a venire al pettine.

Commento tuttavia con molta poca passione questa vicenda perché fin dalle prime battute, comprese quelle che hanno preceduto l’udienza, si è capito che probabilmente niente cambierà.

Non mi riferisco tanto a sentenze da pronunciare in base a prove acquisibili, però, quanto alle voci, ai giudizi e alle prese di posizione foriere di un ben noto immobilismo che accompagnano questo ennesimo capitolo di Calciopoli o comunque si voglia dire. Sono anche sempre più convinto che tutto quel che c’era da dire a tale proposito nella sostanza lo si sia già detto, anche se io in particolare non avevo ancora dedicato troppo spazio alle prevedibili reazioni dei più alle scontate scenette cui sapevamo che avremmo assistito e cui da ieri puntualmente assistiamo.

Per quel che mi riguarda i fatti sono chiari. Calciopoli è solo un momento nella storia del calcio italiano cui si è voluto dare la caratteristica della straordinarietà quando invece non ha evidenziato niente di diverso rispetto al sistema-calcio che esiste da decenni. Tutti i dirigenti sono complici di questo sistema, alcuni di essi perché sono a conoscenza delle sue dinamiche e non le avversano, altri perché queste dinamiche addirittura le cavalcano direttamente o per interposta persona (e guarda caso tutti coloro che le cavalcano sono arrivati presto o tardi a beneficiarne in termini sia economici che di risultati). Moggi, che fra i dirigenti è il più scaltro e per questo è stato anche il più corteggiato dagli altri suoi pari (molti dei quali reticenti), ha organizzato un sistema nel sistema che paragonato ai maneggi di qualsiasi altro dirigente risulterà sempre essere il più condannabile (ma c’è appunto da considerare che si è sporcato le mani, di certo non senza guadagnarci, per parecchia gente, quindi era inevitabile che risultasse essere il più compromesso). Sempre Moggi adesso vuole salvarsi dimostrando di non aver fatto niente di diverso (lui dice nemmeno di più grave) da tutti gli altri, e per questo ha ripescato molte altrui telefonate compromettenti. Chi è stato tirato in ballo nega di avere colpe quando addirittutra non si rifiuta di ascoltare le accuse, e i giudici, per finire, adesso si ritrovano per le mani materiale che al tempo era stato non si sa bene perché accantonato e devono arrivare a una conclusione. Tutto questo mentre una parte della piazza chiede la testa di questi nuovi dirigenti implicati e un’altra vuole che questi dirigenti siano assolti, anzi, pretende che non siano quasi nemmeno nominati.

Ora, qualsiasi cosa venga fuori è giusto fare due riflessioni.

La prima è che considerare queste intercettazioni adesso non sortirà mai lo stesso effetto che si sarebbe avuto se fossero saltate fuori nel 2006 perché nel frattempo Moggi è arrivato a essere considerato l’unico vero orco e sembra che niente che non si avvicini per gravità a quel che ha fatto lui debba essere giudicato illegale. Mi sembra troppo comodo, come se non si condannasse un ladro per furto solo perché in precedenza qualcuno è stato condannato per omicidio, esempio questo esagerto perché qui nessuno ha ammazzato nessuno (calcio a parte) ma che rende bene l’idea. Oggi, oltretutto, si è perso l’elemento emotivo che quattro anni fa tanto peso ebbe.

La seconda riflessione è che poco conta che a tirare fuori queste telefonate sia stato Moggi con la smania che ha di essere riabilitato e cui improvvisamente va dietro la più deprecabile Dirigenza nella storia della Juventus. Una cosa sono le sue appurate responsabilità e i suoi attuali intenti, altra è l’indiscutibile verità che salta fuori da queste intercettazioni. Dobbiamo separare gli interessi particolari di Moggi dallo scenario che si apre in base alle nuove prove che ha portato. Per fare un altro esempio diretto ma almeno non fraintendibile, se i vigili del fuoco fanno irruzione in un appartamento perché c’è una fuga di gas e ci trovano un uomo fatto a pezzi non è che chiudano il rubinetto senza che poi parta un’indagine sull’omicidio.

Eppure sembra che si siano già ridotti i temi della disputa alla contrapposizione Juve-Inter mentre in pochi, almeno per ora, si azzardano ad allargare le valutazioni parlando magari del presunto (?) solito potere del Milan di farla franca o tirano in ballo Società meno importanti e meno interessanti, parrebbe. C’è allora chi vuole indietro uno o due scudetti, chi auspica la retrocessione di qualche nuova squadra (fra le quali i più attenti includono quelle di cui si parla poco o niente, e vale la pena ricordare il gelo calato negli studi di Controcampo domenica scorsa quando Moggi al telefono ha riportato una telefonata di Galliani agghiacciante per contenuti ed esplicità), chi dice che il nome di un morto non deve essere infangato ed è pronto a dare indietro lo scudetto della discordia (perché soltanto adesso?), chi se ne sta zitto e fa finta di nulla, chi ha la faccia tosta di dire che essere chiamati dal designatore per parlare di arbitri non è come chiamare il designtore anche se sempre per parlare di arbitri oppure che non essere riusciti a manipolare il solito designatore cancella il tentativo di farlo (alla faccia della lealtà…).

Nel frattempo su tutto cala la lunga ombra della prescrizione, in base alla quale non sarebbe nemmeno il caso di parlare di tutto questo essendo passati quattro anni dal momento in cui queste telefonate furono fatte, se non fosse per la sola posizione di Moggi, che potrebbe cambiare (in meglio).

Ma chi se ne frega di Moggi, dico io! Lasciamo che si tuteli come crede, tanto non gli mancano né mezzi né piglio. Io credo che si dovrebbe andare oltre Moggi e oltre la prescrizione, o meglio che da quest’ultima si dovrebbe partire e, resoci tutti conto che le cose vanno come vanno, si dovrebbe cogliere l’occasione della divulgazione di queste telefonate per fare una bella pulizia. Sì, perché la giustizia sportiva ha la meravilgiosa prerogativa di essere in larga parte separata e autonoma da quella ordinaria in ragione del fatto che deve tutelare uno sport e far sì che i risultati sul campo abbiano un’origine sana ed equa. E lo sport dovrebbe tutelarlo partendo da quel famoso Articolo 1, quello sulla lealtà, che va al di là del tempo (soprattutto considerando che parecchie squadre raccolgono oggi quanto seminato chissà come in passato) e che se si avesse davvero voglia di dare un bel colpo di scopa a questo sistema offrirebbe una libertà di agire così ampia da far gola a qualsiasi persona cui il calcio sta a cuore e ha ricevuto l’incarico di salvaguardarlo.

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