Cul-de-sac

mio articolo da WORLD STRIKER del 28 febbraio 2011

La strada intrapresa dai tanti Club italiani di primo piano che cambiano di continuo allenatore rischia di rivelarsi un vicolo cieco, col successo irraggiungibile oltre il muro dell’impazienza che lo chiude.

Il calcio italiano sta attraversando un periodo di metamorfosi e involuzione. Inter e Milan sono oggi squadre con risorse uniche nel panorama nazionale. Napoli e Palermo, infatti, stanno appena gettando le basi per un futuro radioso con la creazione di uno scenario pressoché inedito in Italia mentre Roma, Lazio e Juve sono ancora in cerca della propria identità. Ma se anche questa stagione uno fra Allegri e Leonardo riuscisse a vincere al primo tentativo si tratterebbe di una delle poche eccezioni alla regola secondo cui solo la continuità porta vittorie. E’ la storia a dimostarlo.

La Juventus, tradizionalmente orientata a progetti a lungo termine, dal 2006 a oggi ha cambiato addirittura cinque allenatori. Nel passato recente, qualcosa di simile e parimenti negativo era accaduto solo nel corso degli otto anni senza scudetto fra il 1987 e il ‘94, quando di tecnici ne aveva avuti tre. L’aggravante, ultimamente, è di essere ricorsa in ben due occasioni al licenziamento in corsa. Gli ultimi tecnici a cui si possa legare un ciclo bianconero non a caso sono anche gli ultimi ad aver vinto. Lippi, in due passaggi, riportò a Torino lo scudetto, vinse complessivamente 13 titoli e raggiunse addirittura 4 finali di Champions League. Capello, poi, non avesse interrotto la propria esperienza per via di Calciopoli avrebbe presumibilmente vinto ancora più scudetti dei due conquistati. Della gloriosa era di Trapattoni, invece, è addrittura superfluo dire.

Il Trap successivamente vinse anche all’Inter, ma sempre nel corso di un ciclo: un quinquennio che riportò i nerazzurri sul tetto d’Italia dopo un’astinenza di nove anni. Andato via lui, 12 allenatori in 13 stagioni fruttarono ai nerazzurri appena 2 trofei. Ci volevano quattro anni di gestione Mancini per tornare a vincere. E il susseguente biennio targato Mourinho fu ancora più prodigo di trionfi benché almeno in campo nazionale si giocasse fra le macerie del post Calciopoli. Fatto sta che il recente avvicendamento fra Benitez e Leonardo nell’arco di soli sei mesi corrisponde al primo momento di flessione da anni.

Sempre a Milano, ma sponda rossonera, Allegri ha appena sostituito proprio Leonardo. Il post-Ancelotti è stato deludente e salta subito all’occhio come la gestione di Carletto, costellata da 8 successi, avesse ricalcato quelle altrettanto durature e fruttuose di Sacchi e Capello. Da metà anni Ottanta a fine Novanta si divisero un decennio di panchine alzando complessivamente 18 trofei, in contrasto con le altre sei, brevi conduzioni che si realizzarono fra il ‘96 e il 2001 da cui il Milan ricavò appena un insperato scudetto.

La quarta forza italiana degli ultimi anni, la Roma, da parte sua ha appena divorziato da Ranieri dopo solo un anno e mezzo di convivenza. Con buona pace di chi dice di conoscere meglio di altri i veri retroscena di Trigoria, questa vicenda ricorda troppo quella di Spalletti, anch’egli sacrificato al cospetto del Capitano. La futura proprietà, allora, farà bene a ricordare che le ultime affermazioni giallorosse sono venute nell’ambito di due cicli: proprio Spalletti e prima di lui Capello, infatti, avevano potuto lavorare per un lustro, al pari di Liedholm a cavallo di anni Settanta e Ottanta.

In attesa di vedere cosa sarà dei vari Allegri, Delneri, Leonardo e Montella, spicca la strada intrapresa dal Napoli. Con una rosa limitata ma Mazzarri punto fermo, i partenopei sono al tempo stesso la più bella realtà di questo campionato e la più promettente prospettiva. Devono aver capito che per raccogliere bisogna seminare.

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