Un sistema al collasso

mio articolo da COMUNITA’ ITALIANA di marzo 2011

In queste settimane, di botto, si è scatenato il cosiddetto valzer delle panchine. Alcune sono già saltate e di altre è facile intuire che cambieranno più o meno a breve. Il fenomeno, c’è da dire, non riguarda solo l’Italia e la conferma la si può avere pensando proprio ad alcuni nostri tecnici impeganti all’estero.

Guardando al nostro movimento, vanno lasciate da parte le prevedibili vicende che riguardano le panchine dei Club meno forti, fatalmente legati a scossoni che possano cambiare la stagione via via che questa avanza, col miraggio della salvezza. Quel che colpisce è piuttosto la piega che hanno preso molte fra le Società più solide, la cui gestione ha subito una brusca sterzata rispetto a un passato nemmeno troppo lontano.

Qualche tempo fa era stata la volta niente meno che dell’Inter. Aveva divorziato dall’esperto e ultravincente Benitez per affidarsi a un tecnico quasi di primo pelo come Leonardo, il tutto nel giro di poco più di sei mesi da quando Mourinho aveva vinto, incassato, più o meno ringraziato e salutato tutti. In un Club che sembrava essersi finalmente liberato della sindrome da allenatore che l’aveva afflitto per una quindicina d’anni, è venuta a crearsi una situazione di difficile lettura e di ancor più difficile controllo. Seguendo la scia della Società, schiere di commentatori e tifosi sono caduti nell’errore di giudicare un allenatore che ha alzato trofei di ogni tipo nel corso di appena 15 stagioni per i soli pochi mesi trascorsi a Milano. Difficile non sorridere. Così come difficile era stato non definire avventata la sostituzione di Mourinho col suo rivale numero uno. Fatto sta che neppure l’ottenimento di vittorie agognate per quasi mezzo secolo è riuscito a infondere serenità nell’ambiente.

All’Inter sta accadendo qualcosa di molto, troppo simile a quanto è successo nell’ultimo Real Madrid di Florentino Perez e da qualche anno in più accade al Chelsea di Abramovic. Con riferimento ai londinesi, arrivati finalmente soldi a palate in un Club che aveva appena ricominciato a vincere dopo un’astinenza di cinquant’anni, d’un tratto si è preteso di tenere un ritmo di affermazioni che nessuno ha. E più o meno a ogni inciampo si è fatta piazza pulita, liberandosi di allenatori del calibro di Mourinho e Scolari, col rischio che il prossimo sia Ancelotti. Dati i presupposti, c’è da chiedersi come si possa anche solo pensare di far fuori chi, oltretutto al primo tentativo, ha appena conquistato la prima accoppiata campionato-coppa in 105 anni di storia… Fatto sta che Carletto sembra destinato alla sua amata Roma, che nel frattempo ha sacrificato Ranieri sull’altare del dio Totti come se le vicende legate al cambio di proprietà non fossero già sufficientemente destabilizzanti… D’altra parte lo stesso era successo con Spalletti, che al momento si sta godendo una meritata e gratificante parentesi russa in attesa magari di tornare in Italia per guidare questa volta la Juventus.

La Torino bianconera, a proposito, sta vivendo l’ennesima annata nera. Da Calciopoli in poi ha fatto sempre peggio e viene da pensare che questo crollo verticale sia in realtà un processo autodistruttivo studiato a tavolino esattamente come la resa incondizionata davanti ai giudici nel 2006. L’avvicendamento forse soltanto di facciata alla Presidenza e una serie di cambi di panchina che non si era visto in più di un secolo hanno fatto il pari con un esborso di quattrini senza precedenti. Dalla risalita in Serie A, il gruppo è stato praticamente smembrato e rifondato ogni stagione e gli ultimi dati pubblicati indicano che a oggi il saldo fra acquisti e cessioni – ingaggi a parte – è in negativo di ben 130 milioni di euro. La beffarda aggravante è che i tantissimi ex della Juve stanno facendo benissimo ovunque siano andati e oltretutto quando la incontrano le fanno spesso male.

Tutto questo porta alla conclusione che molti degli attuali padroni dal calcio si stanno comportando da arricchiti. Non c’è quasi più traccia della cultura sportiva che ha animato generazioni di dirigenti più o meno vincenti ma comunque dal carattere inconfondibile, apprezzabili già per questo. Checché si dichiari, oggi non c’è lo straccio di un progetto. Non si semina per raccogliere e se le cose non vanno non le si aggiustano ma si comprano pezzi di ricambio. Se però in Paesi emergenti anche dal punto di vista calcistico è comprensibile che lo sviluppo possa prendere quest’illusoria scorciatoia, stona decisamente vedere tanta poca classe e lungimiranza in una terra che di pallone vive da lunghissimo tempo. E non può non saltare all’occhio che di scorciatoia, poi, non si tratta. Perché buttar giù tutto per ricostruire daccapo, ancora una volta senza fondamenta, non condurrà mai a nulla. Di buono, s’intende.

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