mio articolo da WORLD STRIKER del 23 aprile 2011
Io proprio non riesco a farmi una ragione di questo continuo correre dietro a Mourinho. Anche adesso che allena a Madrid, in Italia lo si infila in ogni analisi, lo si invoca di fronte a ogni difficoltà dei nostri Club e gli si paragona ogni altro allenatore, per come lavora sul campo e per come parla in conferenza stampa. Insomma, per uno che agli altri ha sempre affibbiato ossessioni per scaricare la tensione che regna in casa sua, ovunque sia, sembra proprio che gli italiani un’ossessione ce l’abbiano.
Mourinho inarrivabile stratega. Mourinho manager senza pari. Mourinho comunicatore senza precedenti. Come se Spalletti e Lippi, per esempio, non fossero sempre stati grandi gestori dei loro gruppi. Ancelotti e Capello manager altrettanto validi. E lo stesso Capello, ma anche protagonisti come Mazzarri e Ranieri, pur considerati dai più figli di un dio minore, estremamente polemici. Non è che in Italia, in realtà, ci si senta con l’acqua alla gola e ci si sia convinti che solo l’ultimo ad aver ottenuto certi risultati sia in grado di garantirne altrettanti, soprattutto nell’immediato? Magari con quel tocco esotico derivante dal venire da fuori? E nell’illusione che tutto duri per sempre?
Sembra incredibile, ma per come si sono messe le cose non è superfluo ricordare alcuni dati riguardanti i più vincenti e rispettati allenatori europei dei nostri giorni. A partire dagli italiani, a cui forse sarebbe giusto guardare innanzitutto, prima di pensare a soluzioni estranee alla nostra secolare, originale e gloriosa scuola.
Capello ha vinto una Champions e nove campionati, due dei quali nelle sue uniche due esperienze al Real Madrid, quando esattamente come quest’anno c’era bisogno di rilanciare immediatamente le merengues – e bisogna sottolineare come ai trionfi nella Liga Capello non abbia mai fatto seguire un assalto alla Champions. A raccogliere quanto seminato dall’allenatore giuliano c’hanno pensato i suoi immediati successori, Heynckes nel ’98 e Schuster nel 2008, il primo conquistando proprio il massimo alloro europeo e il secondo un’altra Liga. In Italia, invece, Capello ha portato in Europa il Milan al primo tentativo, quando l’ha preso in mano nell’ultimo scorcio della stagione ’86-‘87, e poi alla conquista di quattro campionati, questo prima di ripetersi con la Roma, a cui in cinque anni è riuscito a dare una nuova e poi più persa statura, e alla Juventus, con due scudetti sul campo in altrettanti anni. Non bastasse, in quanto a titoli nazionali ha infilato tre miniserie di cui due da tre e una da due affermazioni consecutive.
Veniamo ad Ancelotti. Due Champions League e due campionati, di cui l’ultimo in Inghilterra col Chelsea che fu proprio di Mourinho, al primo tentativo come il portoghese ma ottenendo anche il Double. Il tutto in tempi stretti, perché la prima, lunga fase della sua carriera da allenatore l’ha trascorsa sulle panchine di squadre emiliane tutt’altro che ricche e potenti.
Lippi, poi, oltre al Mondiale del 2006 può vantare già 5 campionati, una Champions e la partecipazione ad altre tre finali continentali.
Passiamo all’estero. Ferguson ha messo insieme 14 campionati più 2 Champions e 2 Coppe delle Coppe, ma la cosa più importante è che, anni prima di approdare a Manchester, il primo successo lo ottenne a soli 39 anni – come Mou al Porto – quando si laureò campione di Scozia col piccolo Aberdeen, senza dimenticare che appena tre anni dopo sempre coi Dons sollevò la Coppa delle Coppe battendo niente meno che il Real Madrid. Anche Hiddink ha vinto una Coppa dei Campioni delle meraviglie paragonabile a quella del Porto del 2004: col PSV nel 1987. In più, fra gli altri, ha fatto suoi 6 campionati nel corso di una carriera, non dimentichiamolo, equamente divisa fra Nazionali e Club. Che dire poi di Guardiola? L’en-plein di titoli al suo esordio con la prima squadra del Barcellona e due Ligas su due fanno di lui il giovane tecnico più vincente di tutti i tempi. E Benitez? Dopo quindici anni fra giovanili, squadre cosiddette B e altre al massimo di seconda fascia, conquista due campionati spagnoli col Valencia – unica squadra ad aver interrotto l’egemonia di Real e Barcellona negli ultimi dieci anni – e sempre con gli spagnoli una Coppa UEFA prima di disputare col Liverpool due finali di Champions, di cui una vinta. Per non dire di Van Gaal, l’altro grande burbero dei nostri giorni a cui però, a differenza di Mourinho, non ne perdonano una: i suoi sette campionati fra Olanda, Spagna e Germania, oltre a una Champions e una Coppa UEFA e un altro paio di finali europee sono grandissimi risultati ma sembrano non avere troppo appeal, tanto quanto la sua scontrosità. No, la sua non piace.
In definitiva, non è che questi tecnici non siano considerati, ma a confronto di quanto – e pare come – conseguito da Mourinho sembra lo stesso che non abbiano fatto troppo, tant’è che all’idea di poter assoldare il portoghese piuttosto che uno di loro in pochi almeno in Italia avrebbero dubbi: si affiderebbero al primo a occhi chiusi. Forse, dico io, perché il suo opportunismo, quando coincide alle ambizioni del proprio Club, sta bene e vale più di tutto quello che altri grandi allenatori hanno regalato al calcio. D’altra parte è ormai chiaro che allenare il Parma come fece Ancelotti, il piccolo Aberdeen per tanti anni come Ferguson, la Roma o anche uno Zenit non ancora sufficientemente potente come Spalletti, un Bayern un po’ dimesso come quello di Van Gaal fino al mese scorso, che l’olandese seppe ugualmente portare a giocarsi la triplice corona con l’Inter nella Finale di Madrid, un Liverpool sull’orlo del fallimento come Benitez fino alla stagione passata, o anche la sua apparentemente amata Inter, ma sotto tono come quella di Lippi nel ‘99 e ancora di Benitez e Leonardo quest’anno, per Mourinho sarebbero autentiche perdite di tempo. Mentre illustri suoi colleghi, anche a costo di non vincere ma non sempre senza riuscirci, nonostante le difficoltà, l’hanno fatto, provando a dare al calcio, tutto il calcio, tanto quanto da esso hanno ricevuto. E non per questo dimostrandosi meno capaci. Anzi.
Quel che mi chiedo non è certo se si debbano o meno riconoscere i meriti di Mourinho. Semmai, dubito che sul loro altare si debbano sacrificare quelli di tutti gli altri tecnici, inneggiando all’unicità del portoghese, che resta la vera e decisiva nota stonata.
Delle meraviglie fatte da Mourinho, poi, che dire? Fra i trofei maggiori, col Porto ha vinto due campionati, una UEFA e una Champions. Col Chelsea, subito a seguire, altri due campionati. Tre anni dopo, idem con l’Inter, aggiungendo però un’altra Champions. Piaccia o meno come mette in campo le sue squadre, sono risultati importanti e indiscutibili che gli valgono a ragione l’inserimento nella lista dei migliori di sempre, a maggior ragione in prospettiva. Ma al Porto non aveva forse fatto altrettanto Artur Jorge, che fra la metà e la fine degli anni Ottanta ha vinto 3 campionati e una Coppa dei Campioni prima di andare a vincere anche in Francia col PSG? E al Chelsea non sta raccogliendo altrettanto Ancelotti, benché nel corso di un’esperienza più breve? All’Inter, poi, non viene da pensare che anche Mancini avrebbe potuto fare benissimo se gli fossero stati dati i mezzi offerti a Mourinho nella sua seconda stagione sotto la Madonnina? Sì, perché l’anno prima del famoso Triplete anche il portoghese aveva vinto solo il campionato, e in Europa non era andato più avanti del suo predecessore.
Ma allora cos’ha di diverso Mourinho?
Innanzitutto sa fare centro nell’immaginario popolare, come un idolo. Perché per il resto, numeri alla mano, fino ad ora ha dimostrato solo di sapersi muovere bene in squadre di rango tanto quanto certi suoi colleghi, penso a Delneri, patiscono invece i grandi palcoscenici. Che in mancanza di milioni di euro gli possano riuscire grandi cose, invece, è tutto da provare, perché ad allenare una Juventus, un Ajax o un Siviglia di questi anni non c’andrebbe mai. E allora la sua famosa e citata unicità, se di questo e non solo di bravura si tratta, traballa. Per forza. Traballa anche perché ha avuto degli exploit al Porto ma non è stato il primo, si è comportato bene in Inghilterra ma non sempre e non su tutti i fronti, al punto che in Champions non ha fatto meglio di Ancelotti che non per altro al pari suo sta pagando il fallimento europeo col posto, e in Spagna, in attesa di vedere come finirà la stagione, nella Liga è decisamente attardato rispetto alla marcia che lo scorso anno condusse il bistrattato Pellegrini.
Insomma, la mia impressione è che in Italia ci si stia mortificando, fantasticando su uno solo dei tanti bravi allenatori che ci sono in giro, mitizzato e messo al centro di tutto col solo risultato che il movimento nazionale già in affanno gode di sempre meno considerazione. Il rischio maggiore, poi, è che si stia prendendo un abbaglio perché a meno che non si abbia fede nei cambiamenti, anche i più impensabili, si dovrebbe aver capito che le attenzioni date a Mourinho vengono ricambiate solo a determinate condizioni. Leggasi denaro, allestimento di una corazzata e sottomissione totale al suo volere. Come nel caso della relazione con un marinaio che fa scalo nel proprio porto una volta ogni tanto, o della passione di una notte da consumare con un amante a cui darsi completamente, come lui vuole, e a cui non chiedere niente. Né durante, né tanto meno dopo. Rinunciando, poi, a tutto il resto, mentre ci si strugge nella speranza che torni ed eventualmente dimostri lo stesso interesse della prima volta. Invece che considerarlo la bella avventura che è stato… pazienza se per noi come per molti altri.