Parole, parole, parole

mio articolo per COMUNITA’ ITALIANA di Rio de Janeiro

La stagione in corso può passare alla storia come quella in cui più si sono fatti proclami e meno si è raccolto in rapporto a quanto detto.

Tutti erano pronti a scoprire gli effetti negativi del Mondiale giocatosi lo scorso giugno, che in termini di stanchezza avrebbero colpito i maggiori protagonisti – anche se poi sembrano aver colpito quasi esclusivamente quelli che giocano in Italia dato che inglesi e spagnoli non hanno giocato meno bene del solito. Sotto gli occhi di tutti c’era anche la rifondazione delle squadre principali, che dati i nuovi assetti avrebbero corso parecchi rischi. Fatto sta che tutti questi elementi non hanno indotto alla prudenza e i Club, anzi, si sono allineati ai giornali – che di proclami e susseguenti, continue ritrattazioni vivono.

Il Milan si è presentato fin da subito come il vincitore annunciato di quasi tutto a dispetto del fatto che fosse l’Inter a detenere tutti gli scettri. L’arrivo di Ibrahimovic, poi, sembrava poter sigillare il trionfo assoluto rossonero già fin dallo scorso agosto, prima ancora che lo svedese scendesse in campo. A parte la possibile vittoria della Coppa Italia, trofeo tradizionalmente utile solo a rimpinguare il bottino piuttosto che a salvare una stagione sterile, il Milan è al momento il pretendente più accreditato alla conquista dello scudetto ma nell’analisi della sua stagione non si può prescindere dal fallimento europeo, sancito oltre che da miseri risultati anche da prestazioni in linea con un calcio al massimo da seconda fascia. Dopo una prima fase in cui ha faticato anche con le squadre meno forti, è infatti uscito col Tottenham e, in totale, delle otto partite giocate in Champions ha vinto solo le due con l’Auxerre fanalino di coda del suo Girone.

All’Inter sta andando anche peggio. Vinta la Supercoppa italiana e il Mondiale per Club, la sua stagione ricalca quella fallimentare del Milan che a fine 2007 aveva spacciato per gestione di un rodato gruppo vincente l’inizio di un naufragio. In pochi mesi i nerazzurri hanno bruciato due allenatori, fatto un mercato dissennato inutile a risollevarsi su qualsiasi fronte e invece che affrontare serenamente un parentesi transitoria dopo tanta e ricompensata profusione di energie hanno voluto lanciare sfide a destra e a manca. Per doversi poi rimangiare tutto non appena hanno fatto i conti con la realtà, che in Europa si è palesata nello Schalke, la meno accreditata delle otto rimaste in gioco, e in campionato in qualsiasi squadra abbia ancora birra.

Anche dalla nuova forza della Seria A, il Napoli, ne sono venute delle belle. Visto il suo exploit a dispetto delle limitate risorse non le si può certo imputare avventatezza, nemmeno quando ha apertamente sfidato i migliori, ma è importante sottolineare l’atteggiamento del suo Presidente. Con gli azzurri attardati in classifica si è sempre lamentato dei presunti soprusi delle ‘solite’ grandi, per le quali è arrivato ad auspicare un campionato a parte. Quando però alcuni episodi dubbi hanno favorito il Napoli, sfoggiando oltretutto grande boria ha improvvisamente fatto finta di niente.

Peggio di tutti ha però fatto la Juventus, questo perché non è stata suffragata nemmeno da un singolo risultato. Dopo anni sotto tono sapientemente studiati a tavolino dai suoi Dirigenti, che però non hanno mai smesso di dirsi impegnati in una sontuosa ricostruzione, in estate ha smantellato l’ennesimo gruppo finendo per ritrovarsi in una condizione ben peggiore di quella dell’anno scorso – che era stato il più disastroso da vent’anni a quella parte – ma per bocca di nuovo allenatore e nuovo Presidente si è ostinata a tenere nel mirino obiettivi italiani e continentali sempre oggettivamente irraggiungibili. E, malinconicamente, sempre meno prestigiosi.

Tutto questo per dire che se vogliamo dare un voto al movimento calcistico italiano non possiamo basarci sul campionato, soprattutto quando poco importa che lo si vinca spadroneggiando nel sostanziale deserto circostante com’è accaduto nei quattro anni passati piuttosto che lottando di volta in volta con avversari diversi – in assenza di continuità. Il banco di prova resta l’Europa, quella in cui eravamo soliti arrivare in fondo con tre o quattro squadre per volta, e ridursi a riconoscere esclusivamente in uno come il nuovo santone Mourinho il solo mezzo per conquistarla è quanto mai allarmante. Perché c’è differenza tra la caccia alla vittoria e la passione per il calcio e, se è la grandezza perduta che si vuole ritrovare, si può passare solo per maggiore fiducia nei propri mezzi – soprattutto quando si ha la fortuna che coincidano con l’italianità e tutti i suoi numerosi prodotti sportivi – così come per programmazione e continuità. Magari gradualmente. E preferibilmente in silenzio.

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