mio articolo da WORLD STRIKER di New York del 20 ottobre 2011
Sei giornate sono troppo poche per definire una stagione. Ma in presenza di determinati fattori sono ugualmente sufficienti se non già a delinearne il possibile andamento futuro almeno a giudicare la qualità dei valori in campo.
Tutti si stanno godendo questo fantomatico mucchio selvaggio con sole 10 lunghezze a separare l’ultima dalle prime. Ma se colpisce che nessuno sia a punteggio pieno o quasi non deve stupire che la maggior parte delle squadre abbia finora raccolto il 40-50% dei punti in palio. Questo indica chiaramente che l’anomalia del torneo in corso dipende esclusivamente dalla condizione attuale di alcuni usuali protagonisti.
Spicca la situazione dell’Inter, che con appena 4 punti conquistati sui 18 disponibili, una sola vittoria e addirittura 4 sconfitte langue in zona retrocessione al penultimo posto. Alla Pinetina è arrivato da poco l’ennesimo allenatore del dopo-Mourinho, il quarto in appena 14 mesi e nello specifico quel Claudio Ranieri che ai tempi del portoghese aveva rappresentato l’incarnazione dell’anti-interismo in campo quanto la Juventus lo rappresentava in tribunale. Quella del tecnico romano è stata definita in Società e riconosciuta al di fuori di essa come una scelta dettata da necessità di equilibrio e affidabilità, ma il logorio fisico dei senatori e i tempi di ambientamento dei nuovi protagonisti stanno logicamente avendo la meglio su una conduzione tanto virtuosa e sulla carta ideale. In attesa che l’ultimo di essi riesca magari a rimettere ordine in casa nerazzurra, alla luce dei miseri risultati ottenuti da tanti tecnici diversi fra loro ma ognuno valido (Benitez, Leonardo, Gasperini e appunto Ranieri) non c’è che da ammettere che c’aveva visto lungo il solito Mourinho: appena dopo aver vinto la sua personale scommessa nell’irripetibile 2009-10 non c’ha pensato due volte ad abbandonare una nave su cui i fatti hanno dimostrato che non si sarebbe più investito, preferendosi far cassa come testimonia la vendita di Eto’o.
Parafrasando un noto adagio, se alla Pinetina piangono a Milanello non si ride. Lo scoppiettante 3-0 su un Palermo in verità assai lontano dallo stato di forma precedente la sosta per le Nazionali non può infatti cancellare i dubbi su un gruppo, quello del Milan campione in carica, che fedele al credo del proprio allenatore ha rinunciato alla qualità garantita da Pirlo per affidarsi innanzitutto ai muscoli. Risultato: due sole vittorie su sei uscite, con una continua e deleteria alternanza fra 1, X e 2. Staremo a vedere se Ibrahimovic contribuirà ad aggravare le cose continuando a fare dichiarazioni contraddittorie circa il proprio futuro, che rischiano di minare lo spogliatoio, alla ricerca di una soddisfazione (economica) personale. O se invece si confermerà l’irrinunciabile punto di riferimento di una squadra buona ma non ottima che punta a rivincere, come già fu all’Inter. Per ora, comunque, si può già annotare un andamento insufficiente in ottica scudetto anche in ragione di come sono andati gli unici due scontri con antagoniste dirette, Napoli e Juventus, entrambi persi.
Proprio in Juventus e Napoli si erano individuate le squadre più accreditate per la vittoria finale di un titolo che da un lustro finisce a Milano. La prima in virtù dell’assenza di impegni internazionali, del rafforzamento della rosa e di un nuovo allenatore, Conte, identificato coi colori e ben più intraprendente dell’ultimo – almeno per come si è dimostrato la scorsa stagione. La seconda perché ha un organico consolidato oltre che di grande qualità ed è al secondo anno di un progetto concreto dopo che già nel 2010-11 aveva fatto benissimo. Proprio la Champions League per cui si è qualificata, però, potrebbe essere il suo limite perché fra titolari e sostituti rimane una certa differenza e così il turnover non sempre paga. Fatto sta che, ognuna a modo suo, Juventus e Napoli volano alto e i bianconeri in particolare, solidi come sono, senza avere ancora perso anche se pareggiano un po’ troppo, reduci dalle ultime stagioni fallimentari devono essere fieri del primo posto che condividono con l’Udinese dei miracoli. Sì, perché i bianconeri friulani, già quarti l’anno scorso, rappresentano invece la vera meraviglia italiana, capaci come sono di reinventarsi ad ogni stagione nonostante le indispensabili cessioni – ultime in ordine temporale quelle eccellenti di Alexis Sanchez e Inler.
Per completare questa analisi è indispensabile prendere in considerazione le reali prospettive delle tante squadre di seconda o terza fascia che ad oggi riempiono a macchia di leopardo la classifica, separando i più quotati Club su cui ci si è dilungati. Se è ragionevole pensare che i vari Cagliari, Palermo, Chievo, Parma e Catania – o anche l’Atalanta che senza penalizzazione sarebbe terza – non reggeranno il ritmo e presto o tardi torneranno a occupare la zona media o bassa della classifica, anche se magari a sorpresa in compagnia di qualche nome inatteso, allora le ragioni dell’attuale equilibrio devono essere ravvisate altrove.
Prima che col mercato di gennaio si provino a sistemare un po’ di cose, l’unica inoppugnabile verità di questo inizio di campionato è che l’equilibrio dipende dal cattivo andamento delle squadre che normalmente fanno bene, o comunque di un numero di esse più alto del solito – una grande che inizia col freno a mano tirato, infatti, c’è quasi sempre. Se ci sarà un’inversione di tendenza allora l’attuale ammucchiamento sarà presto dimenticato; in caso contrario ci si ricorderà a lungo di questo torneo come di quello in cui si è verificato un reale appiattimento verso il basso, l’unica variante in grado di consentire l’inserimento di chi di una qualità relativa, visti i pochi mezzi che ha, fa la propria ricchezza. Con la consapevolezza che ‘bagarre’ non è necessariamente sinonimo, appunto, di qualità.