mio articolo per COMUNITA’ ITALIANA di Rio de Janeiro
La campagna europea della Nazionale italiana è stata per certi versi sorprendente. A colpire però è soprattutto l’andamento delle cose, specchio di una sostanziale e contemporanea maturazione di tutti gli ambienti più o meno direttamente coinvolti.
Per gli Azzurri l’approccio e quindi il prosieguo alla competizione hanno ricalcato un copione già visto ma che, fosse mancata una certa sostanza, non sarebbe stato possibile ripetere. L’ennesimo scandalo che ha travolto il movimento calcistico italiano, questa volta Scommessopoli, ha riportato alla memoria altri sconvolgimenti giudiziari che avevano preceduto altrettante ottime prove internazionali, dal Mondiale vinto nel 1982 a quello anch’esso conquistato del 2006. Nonostante fosse inevitabile insistere su questa vicenda, la continua sottolineatura di detta coincidenza si è però presto trasformata in uno stucchevole tormentone; fortuna vuole che sia stato poi sostituito da un dibattito tecnico-tattico partito negli spogliatoi, com’è giusto, per dipanarsi in ogni angolo del paese come sempre accade in occasione di grandi manifestazioni.
Fra continue allusioni alle traversie finanziarie dell’Europa e parallelismi con lo scenario continentale che hanno raggiunto l’apice con Germania-Grecia, l’Italia di Prandelli ha affrontato rappresentative ognuna delle quali evocava un pezzo di storia più o meno recente. Ma certe considerazioni trasversali a politica, società e sport potevano giusto servire a riempire pagine e pagine di giornali caratterizzate da titoli sempre più a effetto, mentre a contare doveva essere solo la sostanza: l’operato dei calciatori e di chi ne stava organizzando il lavoro. Al solito, però, alcuni giocatori non sono riusciti a trattenersi dall’offrire qualcosa che andasse oltre il campo da gioco. E così, a dispetto del reclamo di tranquillità da parte di tutta la Nazionale, fra le dichiarazioni avventate di Cassano sulla sessualità, le intemperanze di Balotelli e i puntuali richiami all’ordine rivolti a compagni di squadra, giornalisti e inquirenti da parte di Buffon – che da alcuni è stato percepito troppo duro – è stata messa più carne al fuoco di quanta ne servisse. Eppure, col passare dei giorni e a ogni ostacolo superato, il can-can di voci che avevano finito per avvolgere gli Azzurri si è via via dissolto per lasciare spazio all’essenza pura e imprescindibile di ogni sport: il gioco.
Non c’è stata una vera inversione di tendenza quanto piuttosto una progressiva e generale maturazione. Fatto sta che a un tratto ci si è accorti che al centro dell’attenzione era finalmente tornato il calcio e con esso una lettura puramente sportiva dell’avventura azzurra. Trovato un assetto sostanzialmente sicuro da parte di Prandelli, che ha lavorato sugli individui prima ancora che sulle lavagne, anche l’accanimento tattico che i primi tempi era andato a braccetto con la morbosità da pettegolezzo ha ceduto il passo a un’osservazione serena delle vicende. Liberatisi tutti dal fardello di tante parole di contorno e concentrati sull’essenza delle cose, a quel punto la fiducia non ha più solo seguito i risultati ma è arrivata a precederli: quel che si è formato alla fine può essere definito come una formula perfetta di agonismo, professionalità e partecipazione: un collante forte come in Italia non se ne vedeva da tempo.
Ma l’Italia, al di là della suggestione derivata dalle ultime vicende giudiziarie e del timore reverenziale nei confronti di alcune superpotenze calcistiche, si era comunque presentata con tutte le credenziali per fare molto bene. Almeno con riguardo ai titolari, tecnicamente solo Spagna e forse Germania le erano superiori; tatticamente poi sarebbe bastata ragionevolezza da parte di un qualsiasi CT per farla funzionare. Sulla carta perciò l’obiettivo minimo da raggiungere dovevano essere le semifinali e con un pizzico di fortuna anche l’atto conclusivo, checché se ne dica. E sarebbe stato un peccato dilapidare questo patrimonio per ragioni che col calcio hanno poco a che fare. Perdonati al CT alcuni aggiustamenti in corsa non sempre azzeccati e sorvolando sulla classica buona dose di retorica con cui si è arricchita anche questa esperienza, quindi, il vero mezzo miracolo italiano non è tanto il risultato ottenuto quanto piuttosto essere riusciti a creare tutti i giusti presupposti perché ce lo si potesse assicurare. Com’è effettivamente avvenuto, sfiorando il bersaglio massimo, fermati innanzitutto dalla squadra più forte al mondo.