mio articolo da PILLOLE ARGENTINE del 27 aprile 2015
In contrasto con l’opinione diffusa, l’inserimento di Alfredo Di Stéfano nel River Plate sancì di fatto la fine della Máquina.
La leggendaria linea offensiva del River dei primi anni Quaranta, passata alla storia come Máquina, è tradizionalmente legata ai nomi di Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Loustau. Indipendentemente dall’inevitabile saltuario inserimento di altri giocatori in alcune partite, e poi dall’evoluzione che subì al che alcuni dei membri originari furono ceduti, non fu però la sua formazione a costituirne l’essenza.
La definizione ‘Máquina’ fu data nel 1942 dal giornalista uruguaiano Ricardo Lorenzo ‘Borocotó’ Rodríguez dopo un 6-2 che il River inflisse al Chacarita Juniors. In senso stretto, però, di Máquina si parlava solo al che Pedernera giocava da 9, ma a modo suo cioè retrocedendo per orchestrare letteralmente l’attacco con parsimonia, ruolo questo che aveva iniziato a coprire già nel 1941 dopo essere stato un esterno e in cui avrebbe continuato fino al ’46. Altrettanto non si poteva invece dire in qualsiasi altra occasione.
E’ indiscutibile che quella formazione si dimostrò una vera schiacciasassi in quanto a risultati: in sei anni ottenne tre titoli, due secondi posti e un terzo, perdendo appena 16 volte. E’ però altrettanto vero che il suo gioco era ritmato, cadenzato, non aveva insomma niente a che vedere con quello verticale che avrebbe suggerito, anzi imposto, il velocissimo Di Stéfano. Si tratta di una puntualizzazione di carattere tattico apparentemente fin troppo raffinata. Di fatto però è un argomento imprescindibile, essendo il succo della questione, e l’unico in grado allontanare definitivamente l’idea che la Máquina appunto fosse invece un ristretto gruppo di formidabili giocatori che in campo si trasformavano in un treno lanciato impossibile da fermare. E se pure ‘máquina’ in spagnolo può indicare anche una locomotiva, il veicolo al cui traino si muove il resto dei vagoni e che alcuni metaforicamente accostano a quel River, nel caso specifico è opportuno tradurre il termine con ‘perfetto ingranaggio’.
La ‘saeta rubia’, come i tifosi del River lo chiamarono, deve il suo soprannome proprio alla rapidità intendendosi innanzitutto quella d’inserimento. Nell’unica partita che giocò durante il ciclo della Máquina, nel 1945, si mosse da attaccante destro, ma quando poi nel ’47 fece rientro alla Banda dal prestito all’Huracán si affermò invece come 9. Velocissimo, Di Stéfano si dimostrò forte al punto da condizionare i movimenti di tutto l’attacco, da cui lo stravolgimento del gioco che aveva caratterizzato invece la Máquina. Considerando anche la contemporanea assenza del ‘piloto’ Pedernera, che nel frattempo era passato all’Atlanta, quindi, si può anzi si deve affermare che fu l’inserimento regolare di Di Stéfano a mettere fine a quel mito benché per dar certamente vita a uno nuovo: il suo.
In definitiva, allora, Di Stefano non fece mai propriamente parte della Máquina. Durante il ciclo di quella ‘delantera’ giocò appena una partita, quella già citata del ’45, evidentemente da sostituto; quando poi nel ’47 divenne titolare, benché ci fossero alcuni superstiti della prima linea di inizio Quaranta dal punto di vista tattico tutto era già cambiato e a maggior ragione con lui si voltò decisamente e definitivamente pagina.
Fonti principali: rivista ‘Fútbol, Historia y Estadísticas’ (Pablo Ramírez) e periodico ‘442 Perfil’ (Esteban Bekerman)