Il fallimento italiano

mio articolo da COMUNITA’ ITALIANA di luglio 2010

I Mondiali sudafricani hanno evidenziato il nuovo corso del calcio planetario e, andando oltre certi risultati contingenti, suggellato l’esaltazione tecnico-tattica del Sud America e il rischio di disfacimento del movimento europeo, che trova proprio nell’Italia l’esempio più allarmante.

Indipendentemente da chi alzerà la Coppa, qualcuno obietterà che alle Semifinali (in verità anche a causa di scontri diretti) è arrivato il solo Uruguay in rappresentanza dell’area sudamericana. E’ altrettanto vero, però, che agli Ottavi erano approdate cinque Nazionali sudamericane su cinque e considerando anche il Centro America, col Messico qualificato e il solo Honduras eliminato, il computo passa a sei su sette: un risultato non netto ma forse ancor più positivo.

Le rappresentative europee, al contrario, nei Gironi hanno faticato tantissimo e in alcuni casi non sono proprio riuscite a passare. E’ il caso niente meno che delle ultime due finaliste: la Francia, che si è addirittura ammutinata, e come ben sappiamo l’Italia, il cui punto più basso è difficile stabilire se sia consistito nei soli due miseri punti fatti o nel gioco espresso da giocatori stagionati che nel complesso sono ancora più affidabili, quindi preferibili, rispetto a tante giovani alternative che di esperienza internazionale ma, ahimè, anche nazionale ne hanno fatta pochissima. Tornando alle Selezioni europee che hanno mal figurato, vanno ricordate anche Grecia, Serbia, Danimarca e Svizzera, al posto delle quali sono passate Corea del Sud, Ghana, Giappone e Cile, vale a dire squadre che fino a pochi anni fa raramente si menzionavano e, a maggior ragione, si consideravano.

In Italia si stanno già facendo ipotesi di ogni tipo sul da farsi per risollevarsi da una situazione che va avanti da anni e che, tipicamente, è stata ignorata fino a quando proprio non lo si è più potuto fare, con chili di polvere (leggasi nodi da sciogliere) spazzati sotto l’enorme tappeto di Federazione e Lega. Alla prima, che troppo spesso si è nascosta dietro gli obblighi imposti dal libero mercato comunitario, va comunque imputata la totale incapacità o forse volontà di tutelare il settore giovanile parallelamente alla cura degli interessi milionari dei Club, coi loro sponsor e i loro contratti televisivi. Alle Società invece si deve ricordare quanto sia ingiusto me soprattutto improbabile avere la botte piena e la moglie ubriaca, visto quel che hanno fatto negli ultimi dieci anni almeno, rinforzandosi con forti stranieri e poi, attraverso le parole di dirigenti e tifosi, stizzendosi per l’inconsistenza della Nazionale.

E’ ormai automatico che praticamente qualsiasi Club nostrano, dalla ricchissima Inter al più modesto Catania, peschi talenti solo all’estero e quando vuole affidarsi a calciatori più esperti si orienti comunque su brasiliani, argentini e uruguaiani in particolare. Se i meno facoltosi si muovono esattamente come i più ricchi è perché il sistema lo consente e anzi invoglia a farlo: i ragazzini sudamericani li si pagano molto poco al momento del primo trasferimento, per poi riconoscere alle loro Società di provenienza delle percentuali sulle successive vendite, in modo che i Club italiani non rischino ma anzi siano certi di guadagnarci anche se i giocatori non diventassero dei campioni perché anche il prezzo più basso per l’Europa supera di gran lunga la media sudamericana.

Fatto sta che, benché i Quarti di Finale siano risultati fatali ai giganti sudamericani, tantissimi diciottenni di Brasile e Argentina, già titolari in casa propria, giocando in Campionato e magari anche in Coppa Libertadores o Sudamericana continuano a risultare incredibilmente più esperti dei pari età italiani che pure sono animati dalla stessa voglia di fare. Sono quindi più affidabili in campo e, spiace dirlo, non costano molto tenendo conto anche del fatto che le squadre italiane a cui approdano non devono spendere nemmeno per farli crescere. Intanto, il campionato italiano si riempie di calciatori che poco alla volta ci hanno pur forzatamente colonizzati e che, ironicamente, già forti al loro arrivo migliorano ancor più giocando competizioni di altissimo livello. Quando arrivano i Mondiali, poi, tornano a casa e, al di là dell’andamento del torneo sudafricano, generalmente fanno delle rispettive Nazionali le squadre più forti che ci sono!

E noi qui a leccarci le ferite, costretti ad allestire squadre tutte straniere per vincere una Champions, comunque assuefattici a tante piccole colonie sudamericane anche in campionato, con nomi che molta gente non sa nemmeno pronunciare, confondendo lo spagnolo degli argentini e dei cileni col portoghese dei brasiliani, quindi in fondo senza nemmeno troppo rispetto o tanta cognizione delle cose. Insomma, basta vincere.

Quando poi sento pronunciare la parola ‘oriundi’ come possibile cura, mi chiedo cosa si sia capito di quanto successo in Sud Africa con la Nazionale e ancora prima in Italia ed Europa coi Club. Ho l’impressione che se s’intende guardare esclusivamente ai giovani talenti con doppio passaporto piuttosto che (anche) a quelli di casa nostra l’idea sia quella di avere rappresentative impostate sul modello delle squadre, come Inter e Milan. Temo che nemmeno la recente batosta degli Azzurri sia in grado di scuotere chi di dovere, perché pescare tra gente forte da naturalizzare è troppo semplice, somiglia troppo a un colpo di scopa delle nostre risorse sotto il solito tappeto. Calcisticamente, è invece un colpo di spugna.

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